Daniel Martin by John Fowles

Daniel Martin by John Fowles

autore:John Fowles [Fowles, John]
La lingua: ita
Format: epub, azw3
Tags: classici
editore: Mondadori
pubblicato: 0101-01-01T00:00:00+00:00


Tsankawi

Quando andai nel New Mexico, poco dopo essere stato lasciato da Miriam e Marjory, avevo molto tempo libero. Il mio regista era occupato con il western che stava girando e sul copione si poteva discutere soltanto di sera. La troupe aveva come base Santa Fe, e una volta tanto aveva evitato i soliti paesaggi collinosi per girare soprattutto sulle ultime propaggini delle Rocciose che si prolungano a sud, attraverso il deserto, in questo stato. Era la prima volta che ci venivo, e come molti altri prima di me — il più famoso, ovviamente, D. H. Lawrence — me ne innamorai quasi a prima vista.

Con San Francisco e New Orleans, Santa Fe è una delle città più umane d'America: per qualche miracolo è sinora riuscita a evitare i grattacieli e il suo "profilo basso", nell'accezione letterale del termine, si estende anche ad altre cose. Credo sia stato Lewis Mumford a notare che quasi tutta l'architettura dei centri urbani americani è un tentativo di creare distanze tra la gente — di schiacciare, sino a farla sparire, l'umanità normale con tutte le sue corrette proporzioni. Santa Fe, forse perché ha scelto di non partecipare alla gara a chi costruisce più alto e ha attratto una colonia numerosa di artisti e artigiani, è una città singolarmente rilassata; provinciale, forse, ma fiera di esserlo. Gli edifici di mattoni cotti, in stile spagnolo coloniale, con i loro graziosi patio, il profumo dolce e pungente dei tronchi di pinon che pervade ogni crepuscolo del New Mexico, la luce e l'aria meravigliose del deserto, i pioppi balsamici, le vecchie botteghe nei portici intorno alla sonnolenta piazza centrale, le campane della cattedrale che rintoccano durante la notte... non è per niente l'America del mito europeo; mi piacque moltissimo la prima volta e da allora non ho cambiato parere.

Ma Santa Fe potrebbe essere meno attraente di quanto sia, ma non per questo diminuirebbe di molto la mia ammirazione per i paesaggi dei dintorni. Negli Stati Uniti ce ne sono di più spettacolosi, ma nessuno ha il puro equilibrio, la perfezione e la nobiltà classica, la grecità quasi, delle montagne che costeggiano il Rio Grande tra Santa Fe e Taos, ottanta chilometri a nord. Ci sono panorami che non si dimenticano: uno, per esempio, un ricordo d'infanzia, è quello dell'estremità meridionale del Dartmoor. Ha sempre ossessionato i miei sogni e la sagoma segreta del suo profilo continua a invadere prospettive in apparenza del tutto diverse. La valle del Rio Grande è anche uno dei centri maggiori degli indiani Pueblo; e io, che pure non ero stato molto colpito dai loro villaggi moderni nelle riserve a fondovalle, mi innamorai subito dei luoghi "medioevali" abbandonati, sulla mesa dei monti Jemez che si ergono di fronte a Santa Fe, oltre il crepaccio.

L'atmosfera, paradossalmente, è molto europea; più precisamente etrusca e minoica... voglio dire che sono ossessionati dalla perdita e dal mistero, dal senso di un rapporto magico — riconoscibile sia nell'arte sia in quel poco che sappiamo del modo di vivere degli abitanti — tra uomo e natura.



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